Mahmood vince la 69esima edizione del Festival ed il popolo grida “Li-Berté“. Loredana è la vincitrice che non ha vinto Sanremo insieme ad Ultimo. Dopo 69 anni è la prima volta che abbiamo tre vincitori al Festival della canzone italiana, dicono Mahmood gli esperti, rispondono Ultimo le teenagers mentre il popolo grida Bertè.

Sabato notte all’Ariston è successo di tutto durante la finale della 69esima edizione del Festival di Sanremo: fischi ed urla dalla platea per il quarto posto di Loredana Bertè, favoritissima dalla prima sera, e per il secondo classificato Ultimo che al televoto aveva praticamente vinto. Eppure il leone d’oro è stato dato a Mahmood ed il suo brano “Soldi” che ha ottenuto durante la seconda mance il voto più alto dalla giuria di qualità ed i giornalisti al Roof. Insomma, il vincitore non è stato deciso dal popolo, nonostante prima della Giuria di qualità avesse espresso il 46% di preferenze per la canzone “I tuoi particolari”, ma dagli esperti. Rabbia e parolacce da Ultimo in conferenza stampa ed un silenzio tombale per i terzi classificati, Il Volo.
Una classifica “capovolta” che nessuno si sarebbe aspettato ed un televoto totalmente ignorato. Il popolo insorge, a colpi di fischi e tweet per le scelte di un regolamento ingiusto e per difendere il “paladino” arrivato solo secondo. L’Italia si spacca perché c’è chi addirittura non riconosce nessuno dei tre sul podio come vincitore e protesta per Loredana Bertè. Scoppia la Rivoluzione contro Sanremo. Vittima di questa battaglia tra vincitori e dirottatori artistici è Mahmood, un ragazzo italo egiziano, timido e sorridente che si è fatto le ossa scrivendo i brani a Marco Mengoni; sale sul palco per raccontare la difficile storia con il padre legato solo al denaro e poco a questo figlio.
Nessuno si sarebbe aspettato la sua vittoria, tranne i più maliziosi, coloro che volevano trionfasse una canzone che potesse lanciare un messaggio, non quello morale, come poteva esserlo “Non mi avete fatto niente” l’anno scorso, ma politico, precisamente di sinistra. Eppure, la musica non dovrebbe avere colori, ma dalla polemica di Baglioni pre-festival per Salvini alla vittoria di “Soldi” passa solo un Sanremo pieno di riferimenti a mare, confini e porti. L’edizione è iniziata con le battutine di Bisio “Claudio non parlare” ed è continuata con le punzecchiatine di Pio e Amedeo che incitavano Baglioni ad usare lo slogan leghista “Prima gli italiani”, e le canzoni sovversive del capitano Claudio riproposte dal comico milanese.
L’intento dichiarato era quello di fare un Festival non schierato, ma sembra essere riuscito esattamente l’opposto. Non si può ridurre tutto questo ad intrattenimento, oltrepassa la comicità finendo nella citazione politica, rischiando di far pensare che tutto questo fosse frutto di un disegno già delineato, un piano chiaro e lucido.
Mahmood non è stato “eletto” dagli italiani o almeno solo da un timido 13%. La sua storia ricorda molto quella di un certo Matteo Renzi che nel 2014 non venne eletto dal popolo, tenendo bene a mente però che un Presidente del Consiglio viene eletto indirettamente dal Presidente della Repubblica e non dai cittadini italiani e il Capo dello Stato dovrebbe tener conto del parere popolare orientando la scelta in base alla volontà espressa alle urne. Qui non esiste un capo dello Stato che sceglie ma una casta giornalistica ed una Giuria di Qualità che decide. Cosa voleva invece l’Italia: Ultimo o la Bertè?
La risposta non è il nome dell’artista ma la sua “mediaticità”. La differenza sta nei social: il pubblico legato ad Ultimo è anagraficamente più giovane rispetto a quello che ha acclamato la sorella di Mia Martini, ed è più propenso ad usare il televoto per far trionfare il suo idolo, poiché crede nella gara, acclama il personaggio e lo sostiene in ogni modo. Insomma, mentre Loredana si applaudiva, Ultimo si votava. A questo punto, è giusto quindi dire che vince la canzone più bella o il personaggio più social? L’evoluzione ha fatto si che la canzone bella venisse scavalcata dall’immagine di chi la interpreta, dalla sua influenza sulle masse, prescindendo il pezzo.
Mahmood è il simbolo della buona integrazione culturale in Italia ed era proprio quello che serviva alla sinistra più inferocita per dimostrare all’italiano medio com’è bella l’integrazione, nonostante si sapesse già, almeno le persone intelligenti, ma con Salvini al governo serve ribadirlo essendo in balia di un altro dirottatore al potere, con l’aggravante razzista. Peccato che ripetere sempre le origini del vincitore, i suoi gusti sessuali, anche solo per fargli i complimenti o scriverlo per il gusto di fare un dispetto a Salvini, sia sinonimo di classificazione. Mahmood è un dolce ragazzo italiano che fa musica e ama il suo lavoro, in queste ore bombardato di polemiche, strumentalizzate dalla sinistra per puntare il dito contro chi dice: “La tua canzone non mi piace, preferivo Ultimo”.
Sì perché l’accusa scivola facile tra i rivoluzionari soprattutto se si critica la canzone di un ragazzo italo egiziano. Ed ecco i “razzisti, vergognatevi”- oppure- “Alla faccia tua Salvini”. Il Festival ha assunto, in questo modo, le pieghe di una battaglia politica giocata su un campo dove non ci sono più amanti della musica ma della vendetta, una lotta tra chi vuole la Bertè, chi Ultimo, chi chiama razzista l’amico a cui non piace “Soldi”- attenzione non Mahmood- e chi non vuole più Baglioni.
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