Terziando terziando (pure) stavota mi sa che al Mondiale nun ce jamm. Spalletti s’è perso.
Invece della tanto auspicata (desiderata, sospirata, fate voi) qualificazione al mondiale di Canada, Messico e Stati Uniti, le carte gli hanno riservato la luna nera. Indi per cui è stato esonerato. Mi dispiace. Mi dispiace per la modalità con cui tutto ciò è avvenuto.

E mi dispiace ancora di più perché l’ormai ex ct della nazionale ha ampiamente dimostrato nel corso della sua carriera, non solo nel biennio azzurro conclusosi con lo scudetto dell’opulenza senza ansia, di essere un grande, grandissimo allenatore.
Il suo modo di intendere il calcio (i suoi perché poi, noi si va a vincere, uomini forti destini forti, e quella grammatica strampalata che gli ha permesso di scrivere pagine indimenticabili nel mondo del calcio contribuendo a crearne il il mito), occuperà per sempre un posto importante nel mio cuore così come credo in quello di tantissimi tifosi del Napoli.
Dobbiamo stare con l’ansia pure per la qualificazione della nazionale?
Non voglio immaginare cosa sarebbe potuto succedere se si fosse fatto ammaliare dal canto di Partenope (capisco che le sembianze aureliane non hanno facilitato la cosa) e fosse rimasto anche dopo il trionfo. Alla luce di come è andata, però, non posso non pensare al sultano Don Aurelio, mentre sfoggia un sorriso a 245.000 denti tutto compiaciuto per la defenestrazione del ct e per quella di Cristiano Giuntoli. Il tempo è galantuomo, si sarà detto. E non posso che dargli ragione.
La domanda è: dobbiamo stare con l’ansia pure per la qualificazione della nazionale mo’? Non è bastato il campionato? Ma veramente facciamo? Ebbene sì, la qualificazione diretta ha assunto le stesse sembianze del Triplete per l’Inter. In un girone nel quale, udite udite, la Norvegia, che prendevamo puntualmente a pallonate, rappresenta la corazzata (Potemkin che è una cagata pazzesca) secondo G&G (che non è il pezzotto di D&G, bensì le iniziali dell’indiziato numero 1 di questa nave senza nocchiero, ovvero Gabriele Gravina). Norvegia che, ca van sa dir, ci ha affondato all’esordio non meno di una settimana fa ad Oslo.

Il fallimento della nazionale, come già ampiamente detto, non può essere imputato solo al tecnico toscano, che pure ha dimostrato di non avere il fisic du role. Ma in Italia si sa come vanno le cose “Italia sì, Italia no, Italia gnamme, se famo du spaghi”. Perché la Terra dei Cachi è la Terra dei Cachi, no? La situazione disastrata in cui versa l’un tempo gloriosa Federazione Italiana Giuoco Calcio, è venuta fuori pari pari quando, il suo Commissario Tecnico è stato fatto fuori senza avere tra le mani uno straccio di successore.
La scelta doveva essere rapida ed efficace. Sir Claudio Ranieri, che è persona santa (come il confessore di Catarì in “Core ‘Ngrato”), giustamente ha declinato l’invito dopo aver ascoltato una vocina che gli suggeriva:“Lassala stà, Lassala stà”. E quindi addio alla scelta rapida. Almeno siamo capaci di farne una efficace? Per dare una mano al povero G&G proporrei uno strumento che si intona perfettamente a questo canto del cigno: facciamo un bel referendum. Si potrà scegliere tra cinque nomi.
Nazionale italiana? Un referendum per gli aventi diritto
Avvertenza: se questo referendum prende il 30% degli aventi diritto (rispetto all’intera platea di tifosi dell’Italia, circa 45 milioni arriviamo quindi alla rispettabilissima cifra di 13 milioni e 500mila) vi giuro che mi faccio Napoli-Agerola a piedi. Ma che dico. Vi vengo a salutare uno per uno e vi porto un fior di latte originale. Condividete a palla e vincete un fior di latte gioventù!
Ma passiamo al momento delle scelte. La scelta può vertere su:
1. Gennaro Gattuso. È in pole position secondo gli ultimi sondaggi. Sarebbe la belva (Ah, la Fagnani) giusta per mettere G&G in un angolo, che appena sbaglia a parlare lo riempie di fetenzie al di là di ogni ragionevole qualificazione. Il Ringhio nazionale, non vuole fare la stessa fine di Spalletti. A lui basterà sbattergli il dito indice in faccia, come ha già fatto con l’ex calciatore Josko Jelicic dopo una sconfitta del suo Hajduk Spalato. La sua colpa? Semplicemente quella di aver mosso alcune critiche sul gioco della squadra croata, in maniera tra l’altro educata.

“A te non rispondo perché tu parli troppo e non hai rispetto per le persone” questo l’esordito elegante in lingua spagnola del Ringhio nazionale. Preludio a un più deciso “perché io credo che se hai giocato a calcio capisci molto bene la situazione, ma ne parli sempre molto male” pronunciato in un inglecalabrese da vero ganzo. Per poi affondare il colpo “Io non ho rispetto per te, tu parli sempre male”. Il coupe de theatre arriva quando Jelicic osa ribattere, in spagnolo, “Tu giochi molto male”.
Si va a finire a chi sei tu e a chi sono io con Ringhio che, con voce ormai roca perde ogni grazia di Dio semmai ne abbia avuta mai una e con il suo spagnolo De Agostini lo seppellisce con il dito sempre puntato in faccia al grido di “No tu devi portare rispetto per le persone”. Una scena che, se non l’avete mai vista, vi invito a cercare in Rete, perché è davvero pulp. Capirete così anche perché, se la scelta cadesse su Gattuso, Gravina dovrebbe rinunciare al libero arbitrio.
Stefano Pioli, uomo elegante col gilet
2. Stefano Pioli. L’uomo è elegante, non c’è dubbio. Ma chillu sf….mma e gilet a un certo punto anche no eh? Ha il pregio di aver conquistato l’ultimo scudetto del Milan prima della cura Ibrahimovic desse i suoi frutti. Anche allora fu un testa a testa con l’Inter che si schiantò, dolce deja-vu, proprio a Bologna contro una squadra che non aveva assolutamente niente più da chiedere al campionato.
Ma per il resto è stato sempre un’unghia incarnita per il Calcio Napoli, sia quando farfugliava cose a Verona (sponda Chievo) sia quando ammirava Santa Maria Novella a Firenze o il cuppolone a Roma sponda Lazio. Sia quando mangiava i torteliiiini a Bologna. Ma soprattutto quando, mannaggiatuttcos, ci eliminò dalla Champions nell’anno dello scudetto opulento. Quindi, caro Stefanuccio, diciamo che dovrai venire a baciare la teca del Sangue di San Gennaro ogni volta che si scioglie per vedere se apparamm’ stu fatt.
3. Daniele De Rossi. Per chi non lo sapesse, il ragazzo, adesso, è presidente dell’Ostiamare. L’incubo vissuto da allenatore della Roma, è terminato il 18 settembre 2024, dopo appena 4 giornate di campionato. Al suo posto un ancora più improbabile Juric che pure la valigia se l’è dovuta preparare presto per lasciare il posto a Sir Claudio che essendo buono ma non fesso, ha fatto un girone di ritorno stile Leicester totalizzando più punti di tutti. Il suo scudetto, Don Aurelio dixit, l’ha vinto.

Il buon Daniele, ricordiamolo, è stato una colonna di quella Roma dei romanisti che tanto ha fatto divertire i tifosi e gli amanti di questo sport. Insieme a Totti, l’Ottavo re di Roma, De Rossi è stato leader in campo e fuori. Denominato per molti anni “Capitan futuro”, lo diventerà davvero nel 2017, succedendo al più grande (insieme a Roby Baggio) numero 10 della storia recente del calcio italiano. Ricordiamo con tenerezza il suo sguardo misto tra l’innocenza mistica e l’incredulità, gettato all’arbitro della sfida contro gli Stati Uniti d’America al mondiale di Germania, dopo che lo stesso gli sventolò in faccia il cartellino rosso a causa di una gomitata veemente assestata in pieno viso ad un povero avversario yankee.
Non fu una semplice gomitata, cioè lo sgommò proprio a sangue. Ma lui, che era giovanissimo, disse in un’intervista a caldo, “Non l’ho toccato” salvo accorgersi, a mente più lucida che… un pochino si, l’aveva toccato. E chiese scusa. I suoi compagni furono così bravi da guadagnarsi la finale apposta per aspettarlo. Egli rientrò e si fece perdonare segnando uno dei rigori decisivi contro la Francia. Alzò la Coppa del Mondo lì a Berlino dove il cielo fu azzurro la notte del 9 luglio 2006. Da allora, solo disastri. Forse è meglio che continui a fare il presidente. Agli allenatori non è concesso di sgommare a sangue gli avversari.
4. Roberto Mancini. Bis. La nazionale con lui ha vissuto l’ultimo sussulto di dignità. Campione d’Europa in una finale vinta ai rigori, così come ci è capitato spesso in quel torneo, contro la fortissima Inghilterra. Fu il canto del cigno. Dopo quel trionfo Mancini ha forse smarrito la bacchetta magica fallendo la qualificazione ai mondiali (Qatar 2022). E poi in un giorno di mezza estate, attratto dai ricchi sceicchi arabi, salutò la compagnia e ben pensò di abbandonare così, senza alcun preavviso, la nazionale che allora rischiava di non qualificarsi nemmeno all’Europeo 2024.

E, visto come è andata poi a finire, forse sarebbe stato meglio. Le minestre riscaldate non funzionano, di solito. Figuriamoci quando già quelle originali, mancano di sale.
5. Silvio Baldini. È lui. Il mio eroe, secondo solo ad AntonioConteSempreSiaLodato che ce l’abbiamo solo noi e con noi deve rimanere. È lui che parla di sogni, di sacrifici, di percorso per arrivare al risultato. Di destino che se è dalla tua parte tu sei invincibile. Ma te lo devi meritare. Lui che proviene da un passato dal sapore antico romantico. Lui che è stato capace di rispolverare il termine lestofante rivolgendosi a tutti quelli, e sono in tanti, che abitano il mondo del calcio senza passione, ma solo per tornaconto.

In tanti, tra cui colleghi molto blasonati, lo hanno definito un genio come allenatore. Ha riportato quest’anno il Pescara in serie B dopo 4 anni di purgatorio. L’ha fatto con il suo inconfondibile stile: serietà, umiltà, lavoro, sacrificio. Scandendo ogni istante con la metrica eccentrica ed originale di un linguaggio che spesso travalica il limite del volgare. Eppure le parolacce, quando escono dalla bocca di un toscanaccio ruvido ma dal cuore buono, diventano musica per chi le ascolta. Perle incastonate in una dialettica che scorre veloce per poi soffermarsi sulle parole giuste.
Sempre le stesse: sacrificio, lavoro, umiltà, serietà. Viene davvero la voglia di vederlo seduto sulla panchina attualmente più scottante d’Italia a questo omone di 66 anni. Caduto più volte (il calcio rifilato a Di Carlo resta negli annali del calcio) ma che ha avuto sempre la forza di rialzarsi. Da solo. Con i valori della sua terra, della montagna, della natura che è stata la sua casa e la sua armatura nei tempi bui.
Quando non è il risultato che conta. Conta il percorso.
Quando non arrivavano più richieste. Quando per espiare il peccato di tracotanza commesso nel momento in cui accettò l’offerta milionaria di Zamparini e tornò a Palermo, ma quella volta senza sogni. Senza emozioni. Per soldi. E allora 4 anni allena la Carrarese, la squadra della sua città. E lo fa gratis. Senza prendere nemmeno un euro di rimborso. Zero. Dieci anni senza guadagnare con il calcio non ne hanno minimamente scalfito la tempra e le convinzioni. Non conta il risultato, conta il percorso. Voto per lui. Io Voto convintamente per lui.
Lui che al giornalista Rai reo di aver interrotto l’intervista che stava conducendo al termine della sfida decisiva per la Serie B vinta dal Pescara ai rigori contro la Ternana, con la frase “Mister mi chiedono la linea dallo studio” ha risposto, “Non me ne frega un c..zo”. Perché non è il risultato che conta. Conta il percorso.