Massimo Troisi è andato via troppo presto. Ripeto da tempo questa frase e me ne convinco sempre di più. Massimo era giovane, brillante, sorridente. Intelligente. Sui giornali tra ieri e oggi leggo appassionati ricordi di un uomo che racchiudeva tutta la passione, l’allegria e la malinconia, la maledizione e l’assoluta fortuna di nascere e vivere nei luoghi del Sud.
Doveva tenere su quella maschera, Massimo. La teneva su con dignità e leggerezza e maestria. Ci giocava con quella maschera. Dava l’impressione di togliersela per una frazione di secondo per poi rimettersela subito, e rideva nello scorgere il suo pubblico che si affacciava per guardare cosa c’era sotto.
Un pubblico che si spingeva verso lo schermo o verso il palco per osservare quell’universo appena sotto le sue espressioni, le sue parole, i suoi voli. Roberto Benigni lo guardava a bocca aperta quando parlava e spiccava quei voli. Quando decollava nessuno sapeva dove sarebbe atterrato, forse nemmeno lui. Parlava con tutto il corpo, con tutto se stesso.
Massimo volava come pochi. Ti prendeva per mano e ti faceva volare con lui. Ti mostrava una città fatta di colori accesi e cupi allo stesso tempo. Guardarlo ti faceva, e ti fa sentire bene, in pace ed in armonia con il mondo nonostante l’assoluta imperfezione del mondo.
E questo è. 25 anni che non c’è più. Avremmo ancora bisogno di lui. Massimo se n’è andato via troppo presto.
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