Arrivai che era appena successo. C’era sangue dappertutto in quella scuola: nell’atrio, sulle scale, nel parcheggio. Una lunga scia rossa a pochi metri dalle classi dove i bambini facevano lezione. Ricordo l’odore del sangue mischiato alla pioggia, alla segatura, a qualche prodotto che il personale stava usando per pulire. Un odore acre che mi rimase addosso per molte ore. Anche mentre scrivevo quella storia. Un uomo aveva accoltellato la moglie dalla quale si stava separando negli spazi di una scuola elementare. La donna stava accompagnando i figli a scuola.
Poco tempo dopo mi capitò di intervistare un tipo a casa sua. Mi stava raccontando una storia, niente di particolarmente interessante. Mentre stavo pensando alle parolacce che avrei detto a chi aveva passato a questo tizio il mio numero di cellulare, entrò nel modesto salotto sua moglie. Mi colpì la compostezza e il modo in cui si sedette su una sedia accanto alla poltrona del marito. “Buonasera”, mi disse. Non feci in tempo a rispondere che lui la fulminò con lo sguardo. Lei si irrigidì, i suoi occhi in meno di un secondo da spaventati divennero tristi. Poi si alzò e se ne tornò da dov’era venuta, una stanza in fondo al corridoio. Lui si rimise a parlare come se nulla fosse, come se fosse stato interrotto da niente più che uno spiffero d’aria fredda. Quando me ne andai, non so perché, ripensai al caso dell’accoltellamento a scuola.
Ho ripensato a questi episodi in questi giorni ed in queste ore, quando tutto il mondo si sta muovendo per dire no alla violenza sulle donne. Ho letto decine di articoli, sentito interventi più o meno autorevoli, ascoltato una donna che mi parla con dolcezza, una donna che ho promesso a me stesso e al mondo di proteggere e sostenere.
Credo che sia la distanza tra il sangue e lo sguardo sprezzante il vero problema. Una distanza notevole eppure così ridotta. Cosa c’è lì in mezzo? C’è un retaggio culturale, una dimostrazione di forza, un piacere sadico nell’essere padrone, c’è violenza e potere e psicologia e sociologia. C’è ignoranza, stupidità, arroganza. C’è vergogna, ma dalla parte sbagliata.
Parlavo di tutto questo qualche sera fa con la donna che amo. Ho vissuto da giornalista le storie che ho accennato più su. Spesso, in altri casi di cronaca, mi capitava di immedesimarmi nei protagonisti, nelle vittime, negli aggressori. Mai ho provato un tale malessere e mi sono corsi brividi lungo la schiena come negli episodi di violenza contro le donne. Mi sono immaginato in un angolo, al buio, mentre aspettavo senza forze per reagire il violento che arrivava a punirmi per aver proferito parola. Ma l’intero mio essere si è rifiutato di immedesimarsi nella bestia, rifiuto del genere umano, che impugna la lama o che offende con lo sguardo.
Voglio credere che la grande maggioranza degli uomini che camminano sulla terra provino la stessa repulsione. Vorrei infondere la forza e la sicurezza alle donne chiuse nell’angolo per reagire e per combattere. Vorrei che le brutte esperienze, per coloro che le hanno vissute e ne sono uscite sulle proprie gambe, fungessero da insegnamento per tutti. Vorrei ritorcere la violenza contro i violenti, e l’ipocrisia contro gli ipocriti. Vorrei non parlare più di violenza, non vorrei mai più indignarmi. Ma siamo qui anche per questo: per ricordare a chi fa schifo che fa schifo, e per raccontare, e per dire a chi ne ha bisogno di uscire dall’ombra.
Un giorno non lontano, poi, ne sono certo, quando la vergogna entrerà finalmente nella poca anima dei violenti senza palle, non ricorderò nemmeno più quel coltello e quel sangue, né immaginerò stanze buie piene di paure. L’unico sguardo che conoscerò sarà quello della donna che mi rende felice e che rende la vita degna di essere vissuta.
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