Riforma del copyright: cosa ha approvato il Parlamento europeo?

La riforma del copyright dovrebbe eliminare il value gap tra editori e colossi della rete, obbligando questi ultimi a pagare l’indicizzazione dei link

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Il Parlamento europeo ha approvato la riforma del copyright. Prima di diventare definitiva, la proposta di direttiva di Alex Voss dovrà essere discussa col Consiglio dell’Unione. Il testo, infine, verrà votato nella plenaria del Parlamento.

riforma del copyright

Per l’europarlamentare Pd Silvia Costa “ha vinto l’Europa della cultura e della creatività contro l’oligopolio dei giganti del web”, “finalmente è stato regolamentato un settore fondamentale dell’economia”, per Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera. Di tutt’altro avviso il vicepremier Luigi Di Maio, per il quale “stiamo entrando ufficialmente in uno scenario da Grande Fratello di Orwell”.

Rispetto al documento bocciato a luglio sono state apportate alcune modifiche alla riforma del copyright. Le associazioni di ricerca potranno beneficiare di un’eccezione per il text and data mining, cioè l’elaborazione e la ricerca di grandi quantità di dati, ma vengono esclusi singoli ricercatori e giornalisti.

L’articolo 11 dovrebbe eliminare il value gap tra editori e colossi della rete, obbligando questi ultimi a pagare l’indicizzazione dei link, accompagnati da foto e snippet. La norma, così come approvata, esclude la sua applicazione nel caso in cui l’hyperlink contenga le parole singole, individual words, ma la questione non cambia. Pare, infatti, che la disposizione sarà attuata anche nel caso di utilizzo del solo titolo.

A lanciare l’allarme sono proprio i piccoli editori che temono di subire le conseguenze del gioco di forza tra i big dell’editoria e gli aggregatori di notizie. Esperimenti simili sono già stati tentati in alcuni stati. In Belgio, Google aveva cancellato i giornali dalla piattaforma, in seguito gli stessi editori avevano chiesto di essere riammessi, ma con un contributo a sostegno dei costi del digitale. Accordata la richiesta, i giornali sono stati reintegrati. In Germania, invece, Google aveva eliminato gli articoli dalla sezione di News. Chi voleva accedere doveva rinunciare espressamente agli emolumenti. Alla fine della fiera, tutti sono tornati nell’aggregatore “gratis”.

È andata ancora peggio in Spagna, dove per legge non si può rinunciare al pagamento. Così Google News ha deciso di rimuovere il servizio. Molti piccoli editori non hanno retto il colpo e sono stati costretti a chiudere i battenti. Quanto all’articolo 13, il nuovo testo non fa più riferimento ai filtri, ma prevede la responsabilità della piattaforma per i contenuti caricati dagli utenti. Quindi il provider, che per la direttiva ecommerce non è responsabile se non in quanto content provider, deve controllare preventivamente tutto ciò che viene caricato, tramite filtri e algoritmi. Escluse le piccole e micro imprese, in quanto non possono sostenere i costi del filtraggio.

Altre eccezioni sono previste per i servizi non commerciali e piattaforme open source. Non è detto che Wikipedia rientri nell’esimente perché consente la commerciabilità dei contenuti. Lo stesso discorso vale per la piattaforma di sviluppo e condivisione software GitHub, che non è solo open source. Insomma, le criticità già evidenziate in passato restano tutte. Ora spetta al trilogo trovare un testo mediato dagli organi europei per arrivare, poi, a gennaio 2019, quando con molta probabilità la riforma verrà approvata in via definitiva.

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