Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco, dunque, per Daniele Sepe. Ah no scusate, quello era il Trap (a proposito, tanti auguri al buon Giovanni da Cusano Milanino che lo scorso 17 marzo ha compiuto i suoi primi 80 anni). Eppure il titolo dell’ultimo lavoro del musicista partenopeo Daniele Sepe “The cat with the hat” (11 brani, edizioni Goodfellas qui potete trovare il video promo – https://www.youtube.com/watch?v=n5UVmSmRe0k) omaggio al sassofonista Leandro Barbieri in arte Gato Barbieri, mi ha ricordato la celeberrima gag dell’ex Ct della Nazionale italiana di calcio, ex allenatore di Juventus, Inter, Bayern Monaco e di altre “millemila” squadre di pallone durante una conferenza stampa.
Il capitano della ciurma
Perché? Bah, forse perché come il Trap, anche Daniele Sepe il Capitano (ante litteram) della ciurma più squinternata della storia della pirateria mondiale, capace però di riscuotere tanto successo con la saga di Capitan Capitone e i fratelli della Costa e Capitan Capitone e i Parenti della Sposa non bada poi tanto ai fronzoli. Disdegna la retorica. Rifugge dal perbenismo e dal politicamente corretto che ci ha abbuffato un pochettino la ‘uallera, diciamocelo. Fa un po’come ca..o gli pare, una prerogativa che appartiene a pochi.
Difensivista
Pensate un attimo a come la vulgata descrive Trapattoni. Un catenacciaro incallito. Seguace della difesa ferrea e del contropiede. Parcheggiatore abusivo di pullman davanti alla linea di porta. Ma lo è stato veramente? Penso di no. In questo caso sono d’accordo con Mario Sconcerti che ha cesellato nel suo augurio apparso sulle pagine del Corriere della Sera nel giorno del suo compleanno, questa definizione: “Trapattoni non era un difensivista; era uno che non voleva sprecare il gol”.
Ecco. Con questo omaggio all’immenso sassofonista argentino Gato Barbieri, anche Daniele Sepe ha fatto molta attenzione a non sprecare nulla. O il meno possibile. Certamente nemmeno un grammo della sua ammirazione per il mito argentino scomparso nel 2016 autore, tra l’altro, della colonna sonora de “Ultimo tango a Parigi”.
Under Fire
La scintilla scoppia quasi per caso ed è lo stesso Sepe a raccontarlo nell’incipit del booklet che accompagna il disco:“A metà anni ’70 dopo le lezioni in conservatorio mi piombavo a casa di Alberto, chitarrista in erba e col padre appassionatissimo di jazz. Una raccolta di vinili rari e bellissimi, e poi Alberto aveva un impianto hi-fi di tutto rispetto. Divano, canne e ascolto collettivo della qualunque per tutta la sera. Passavamo da Bix Biederbecke a Archie Sheep senza steccati. Un giorno mettemmo sul piatto Under Fire, l’album di un sassofonista argentino chiamato “El Gato” Barbieri. Il titolo ci piaceva, erano gli anni della contestazione generale, gli anni in cui sentivamo Victor Jara e Inti Illimani, il golpe in Cile era appena avvenuto. E che sorpresa ritrovare in quell’album tanto della musica folclorica sud americana che consumavo. E poi un fraseggio totalmente diverso, legato, melodico, mi ricordava un po’ Pharoah Sanders o Coltrane, ma percepivo subito il luogo dove era nato e la lingua che parlava “El Gato” anche solo quando suonava il sax.”. Era nato l’amore. Cile, golpe, l’occhio sempre attento alle cose che succedono nel mondo. Allora come oggi.
Libertà, senza clamori
Un omaggio all’uomo ed un musicista devoto della libertà che arriva proprio quando, senza peraltro grossi clamori, questo prezioso valore sembra aver perso qualsiasi appeal mentre la verità è che si tratta di un bene inestimabile e, pertanto, non può e non deve essere sprecato. La stessa libertà di fare jazz anche se si è nati a Napoli e non a New Orleans. Per restare fedele all’idea che la musica non ha confini, ma è un unico linguaggio universale.
Song for Che
Non ha voluto sprecare i racconti di quelli che il Gato l’hanno visto e l’hanno vissuto da vicino: splendido e malinconico quello di Enrico Rava, mentre Stefano Bollani e Roberto Gatto hanno partecipato suonando divinamente nella stupenda Love theme from Spartacus di A. North il primo. Mentre Roberto Gatto appare in Song for Che (in una meravigliosa esecuzione a due batterie e due bassi. Hamid ed Aldo Vigorito sulla vostra sinistra e Roberto Gatto e Davide Costagliola sulla vostra destra. Seventies style) e in Odio l’inverno, brano di Daniele Sepe con evidente riferimento a Estate di Bruno Martino.
Come li avrebbe suonati lui
Curiosità: nel disco a lui dedicato i brani del Gato rappresentano un’esigua minoranza. “Nello scegliere cosa suonare – dice Sepe – non ho avuto dubbi: inutile ripercorrere brani suoi, giusto un paio, dopo tutto se uno vuole sentirli, sente le sue versioni. Ma ho voluto scegliere una serie di brani, molti tradizionali che ho sempre cercato di immaginare come li avrebbe suonati lui”. E quindi sotto con Victor Jara, Charlie Haden, E.A.Mario, Atahualpa Yupanqui, Virgilio e Homero Exposito e lo stesso Sepe.d
Daniele Sepe: talento, qualità
La cosa sulla quale Daniele Sepe non ha risparmiato invece è il talento, la bravura, la qualità. Ce n’è davvero tanta negli 11 brani di un album suonato magistralmente da 27 musicisti scelti tra i migliori in circolazione nel panorama internazionale.
Una sorta di Daniele Sepe and Friends, al quale hanno partecipato Lavinia Mancusi, Dario Sansone, Roberto Lagoa, Roberto Colella, Antonio De Luca, Carmine d’Aniello, Luca Casbarro, Roberto Trenca, Diego Moreno, Franco Giacoia, Peppe Frana, Raffaele Tiseo, Tommy De Paola, Bruno Persico, Piero De Asmundis, Andres Balbucea, Alessandro D’Alessandro, Roman Gomez, Aldo Vigorito, Davide Costagliola, Robertinho Bastos, Antonello Iannotta, Arlen Azevedo, Nello Arzanese, Antonio Marascia, Hamid Drake, e Claudio Romano.
Tutto d’un fiato
La cosa sulla quale invece voi non dovrete risparmiare sarà ascoltare il disco tutto d’un fiato. Senza sprecare nemmeno una nota. E ripetere l’operazione ad libitum. Questo disco è una droga legale. Questo disco provoca dipendenza. Io l’ho divorato già 3 volte in 12 ore (e sono appena le 20) forse mi devo preoccupare.
Love Theme from Spartacus, Donne d’Irlanda Mnà na h-Èirean, Los ejes de mi carreta, Odio l’inverno ed, ovviamente Nunca Mas (giusto per ricordare che siamo un popolo di emigranti e dovremmo avere più rispetto di chi oggi ci raggiunge nel nostro paese – ipse dixit) sono quelle che mi piacciono di più. Nel frattempo mi rallegro nel pensare che in un mondo dove solo quello che è superfluo sembra essere diventato indispensabile, Daniele Sepe ci ricorda con la musica che nella vita è la parsimonia a trionfare. Vietato sprecare quindi. Le emozioni sono cosa sacra e seria da salvar.
Volto di Napoli
‘O zi Sepe, orgoglio di Napoli a sua insaputa almeno fino a quando la giornalista de “La Repubblica” Ilaria Urbani non lo ha eletto ufficialmente Volto di Napoli in una bella intervista (per chi volesse leggerla https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/03/10/news/i_volti_di_napoli_daniele_sepe-221143013/), esce molto e suona ancora di più. Ma non per smania di protagonismo visto che la fama sembra interessargli poco. Meglio le giornate trascorse in ufficio a mollo nelle acque del Golfo e a bordo del Capitone. Un rito che si ripete quotidianamente in estate e ogni qual volta il meteo permette anche d’inverno.
Quando parla o suona, il comunista del jazz lo fa perché ha qualcosa da dire. Lo fa perché probabilmente il gatto lui è riuscito a metterlo davvero nel sacco. E anche stavolta, con l’omaggio al Gato, secondo me che non so’nisciun, ha fatto centro.
Nel sacco del gatto Gato ci sono finito invece io e ne sono felice. Nun facit e “Strunz” (cit.) (https://www.youtube.com/watch?v=5cgLqfdAgK4), accattatev o disco!
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